beat yesterday anna passatore

BY#9: Anna e quegli ultimi 5 km del Passatore

Il Beat Yesterday di Garmin può avere mille sfumature: una per ciascuno di voi, una per ogni storia, per ogni avventura che portate a termine, per ogni limite che riuscite a superare, piccolo o grande che sia. Oggi vi raccontiamo il Beat Yesterday di Anna e di quegli ultimi 5 km del Passatore che le sono valsi una rinascita.

La passione per la corsa nata per gioco

Anna Dalla Marta ha 44 anni, toscana, ricercatrice all’Università di Firenze. Ci racconta che ha iniziato a correre per gioco otto anni fa, unendosi ai colleghi che, in pausa, si allenavano al Parco delle Cascine.

“Non avevo grosse aspettative ma correndo con costanza i miglioramenti, in termini di tempi, si sono visti subito e la motivazione è cresciuta, insieme alla passione”.

Come capita a molti, dalla corsetta al parco prima si migliorano i tempi, poi si aumentano le distanze e poi ci si appunta il pettorale sulla maglia: la prima corsa di 5k, la prima 10k, la prima mezza maratona e poi la maratona. Che per Anna, ovviamente, è stata quella di Firenze.

“La 100 km del Passatore non era tra i miei obiettivi. Rispetto alla maratona si può dire che sia un altro sport. Ma, in fondo, anche il Passatore parte da Firenze. Praticamente a casa mia. Mi sono detta… perché no? Potrebbe essere una sfida interessante”.

La promessa di Anna: la 100 km del Passatore

“Ho iniziato a pensarci ma non ne ho parlato con nessuno, anche un po’ per scaramanzia. Ho aumentato poco alla volta le distanze e sono diventata più assidua con gli allenamenti. Occorre almeno un anno per preparare una 100 km e volevo farlo nel modo giusto. Come test ho corso la Strasimeno, una gara di 58 km intorno al lago Trasimeno ed è andata bene, così l’entusiasmo è cresciuto ancora”.

Poi, come succede spesso, la vita ha deciso di mischiare le carte e complicare tutto.

“Mio padre si è ammalato. Vivo lontana dai miei, che abitano in Friuli. Chiedevo notizie ma non potevo essere ogni giorno lì con loro. Mio padre ha sempre fatto il tifo per me, mi ha sostenuta, spronata, anche solo con uno sguardo. Così gli ho raccontato la pazzia che volevo fare. Ho condiviso con lui il mio progetto, gli ho fatto vedere il percorso, gli ho parlato spesso della paura di partire e non arrivarci in fondo. Nel momento più difficile, quando si è aggravato, gli ho promesso che ce l’avrei fatta, che avrei concluso il Passatore a qualunque costo. È stata l’ultima cosa che sono riuscita a dirgli”.

Una promessa che non era semplice da mantenere. Dopo la perdita del papà, per un certo periodo Anna ha fatto fatica ad allenarsi: troppi pensieri.

“Non potevo lasciarmi andare al dolore. Dovevo essere forte, per mia madre, per i miei figli. Ma quel peso dentro, che non riuscivo a liberare, era opprimente”.

Nonostante questo, l’anno scorso Anna si presenta al via della 100 km del Passatore carica e motivata. Fino al km 50 tutto va per il meglio. Poi però arriva il buio, i compagni di corsa si allontanano e Anna rimane sola: con la sua stanchezza, la nausea e lo stomaco chiuso, crampi e dolori ovunque. Al km 80 la situazione peggiora, sia fisicamente che psicologicamente. Un chilometro dopo l’altro Anna prova a stringere i denti .

“Al 95 km ho pensato di ritirarmi. Quando arrivi a quel punto non sei più così lucida. Non riuscivo a pensare a quanti km avevo già fatto e quanti pochi ne mancassero: quei 5 km mi sembravano una distanza impossibile. L’idea di doverli correre era devastante”.

Ero nel buio più totale. Avevo esaurito tutte le energie. Mi veniva da piangere. Avevo male ovunque, anche solo a camminare. Credevo ormai di aver dato tutto. Mi sono fermata e ho ripensato alla promessa che avevo fatto a mio padre. A quel punto è passato un altro runner che mi ha convinta ad aggregarmi a lui e al suo compagno di corsa. Sono stati una benedizione. Stare con loro mi ha aiutata a distrarmi, a non pensare a quei 5 km. Poco alla volta, un po’ correndo e un po’ camminando, ho ripreso le forze e anche la fiducia di potercela fare”.

L’arrivo al traguardo del Passatore

“Arrivare al traguardo è stata una liberazione enorme. Ero riuscita a mantenere la mia promessa. Quel peso che mi portavo dentro era finalmente libero di uscire. Ho sentito di aver dato il mio contributo a tutta questa storia e di essere pronta a lasciare andare mio papà, a staccarmi da lui”.

Un #BeatYesterday che vale più di una medaglia

“Nei giorni successivi ho pianto ancora molto, ed è stato catartico. Quella crisi ha rappresentato un momento importante per me, di crescita personale. Ritirarmi sarebbe stato un fallimento. Quando affronti una sfida devi essere consapevole dei tuoi limiti e io sapevo che, dal punto di vista fisico ero allenata per portare a termine una 100 km. Sapevo bene che quel limite, quello del km 95, non era fisico ma solo mentale e potevo superarlo. Sapevo di potercela fare. Sapevo che non sarebbe stato facile, ma nemmeno impossibile. Abbandonare sarebbe stato più semplice ma poi mi sarei sentita malissimo”.

“La mia impresa è molto personale, perché in effetti in molti corrono la 100 km del Passatore e forse non la definirebbero impresa. Io si, perché mi sembrava impossibile ed è solo per una promessa che sono riuscita a portarla a termine. È stata questa la mia vera impresa: quegli ultimi maledetti 5 km. E li ho fatti. Mi sono liberata dei miei limiti fisici e mentali, mi sono liberata delle mie paure e ho onorato la promessa più importante della mia vita. Mi sono sentita una persona migliore. Una che ce la fa“.

“Portare a termine una gara di quel tipo è una prova di carattere: quando la testa riesce a portarti oltre il limite, oltre le difficoltà, poi ti senti più forte e hai più fiducia in te stessa. Lo sport insegna questo. Ed è una consapevolezza che mi porto ancora dentro e che mi è utile anche nella vita di tutti i giorni. Quando mi sento in difficoltà, quando devo fare un passo in avanti, penso a quei 5 km e mi ricordo che ho le forze per superare qualunque cosa“.

La medaglia