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BY #18: La luce dopo il buio

Quella che vi raccontiamo oggi è la storia di Carmela Vergura e della sua rinascita dopo un periodo molto difficile. “Vorrei essere un esempio, uno stimolo per tutte le donne che hanno vissuto momenti duri”.

Carmela vive a Ivrea, ha 58 anni, è insegnante di scuola superiore e mamma di Elisa. È cresciuta con lo sport, che ha praticato per molti anni a livello agonistico.

“Ero un’atleta a tutti gli effetti. Mi sono sempre dedicata alle discipline di endurance: corsa, nuoto, bici, sci. Ho fatto tantissime gare, anche con buoni risultati. Insomma, lo sport era un compagno di vita, gli allenamenti un’abitudine quotidiana, una priorità”.

Almeno fino a tredici anni fa, quando Carmela, ora 44enne, ha scoperto di essere incinta.

“Dopo otto anni di matrimonio, non me lo aspettavo. Ero ormai convinta che non avrei mai avuto figli. E invece. La gravidanza, però, ha cambiato tutto. Diventare mamma a 44 anni non è stato semplice per me. Il timore di non portare avanti la gravidanza, o che qualche esame non andasse bene, che potesse insorgere qualche complicazione, c’era sempre”.

Per evitare rischi, la sua ginecologa le ha consigliato di sospendere qualunque attività sportiva: riposo assoluto.

“Abituata ad allenarmi ogni giorno, il mio corpo ha dovuto fare i conti con un drastico calo di endorfine e serotonina. Sono caduta in un buco nero. Ho iniziato a soffrire di attacchi d’ansia, crisi di panico, claustrofobia, tremori e non riuscivo a capire il perché. Al solo pensiero del parto gli arti inferiori mi si paralizzavano, ho dovuto scegliere il cesareo. Pensavo che con la nascita di Elisa la situazione sarebbe tornata alla normalità, ma mi sbagliavo. Ho sofferto di depressione post partum. In quel periodo buio, mi mostravo felice ma non la ero. Non mi riconoscevo più. Non vedevo mai la luce e non avevo la forza di ricominciare a vivere la mia vita nelle vesti di mamma. Ho parlato con pochissime persone di quello che mi stava accadendo ma per fortuna ho avuto accanto mio marito: il suo sostegno è stato fondamentale”.

Dopo la nascita di Elisa, Carmela decide di rivolgersi a uno psicoterapeuta e inizia una terapia antidepressiva farmacologica, che dura due anni.

“Arrivata a quel punto, i farmaci erano necessari. Ma lo psicoterapeuta ha capito che, per me, sarebbe stato altrettanto fondamentale tornare a fare sport. Mi ha detto di uscire, di stare all’aria aperta, di riprendere a fare ciò che mi faceva stare bene. Ed è esattamente ciò che ho fatto.”

carmela vergura famiglia
Carmela e la sua famiglia

La rinascita

Tornare a correre, ad allenarsi, per Carmela ha voluto dire iniziare un nuovo percorso. Giorno dopo giorno, ha ripreso in mano la sua vita. E la sua felicità.

“A quattro mesi dal parto, ho ripreso lentamente a fare tutto quello che facevo prima della gravidanza e non solo. Volevo provare ad alzare l’asticella e magari diventare un esempio positivo per le altre donne. A 47 anni mi sono iscritta dl Tor des Geants: 330 km e 24mila mt D+. L’ultratrail più dura al mondo”.

Nel 2011, anno in cui Carmela si è iscritta al Tor il mondo delle ultratrail era ancora poco conosciuto.

“Non avevo idea di come potessi prepararmi a una gara simile. Ho solo corso su e giù per le montagne, per allenarmi ai dislivelli”.

Nonostante avesse ancora sulle spalle il peso di un periodo buio e difficile, Carmela è riuscita a portare a termine la sua sfida.

“Non avevo ambizioni di gara, volevo solo arrivare a Courmayeur. Quando ho tagliato il traguardo l’emozione è stata indescrivibile. Avevo già iniziato anni prima il mio percorso di rinascita, ma quel momento è stato un sigillo: la prova concreta che ce l’avevo fatta, avevo vinto su quel male silenzioso e subdolo che per quasi un anno mi aveva schiacciata .Se ripenso a quel momento mi vengono ancora i brividi. Tagliare il traguardo ha cambiato tanto di me, nello sport e nella vita: la testa, la persona che sono, gli obiettivi che ho”.

Un’emozione così forte che Carmela ha deciso di riprovarla anche l’anno dopo. E poi, ancora, nel 2018, a 55 anni.

“Tra il 2012 e il 2018 ho fatto molte altre gare, tante ultra. Due anni fa ho capito che ero pronta per affrontare ancora una volta il Tor e devo dire che è stata per me l’edizione più bella. Avevo più esperienza, ero più consapevole. Soprattutto avevo ormai iniziato a vivere le gare e lo sport non tanto dal punto di vista agonistico, ma come opportunità di vivere esperienze uniche”.

Beat Yesterday, ecco cos’è

“Credo nella forza della mente. Credo nello sport come medicina naturale. Credo che dopo aver toccato il fondo si possa risalire con determinazione solo se siamo noi a volerlo. Non ho mai parlato a nessuno di quello che ho passato, se non a mio marito e a poche amiche fidate. Mi vergognavo. Poi ho capito che, dopo tanti anni, era arrivato il momento di raccontalo. Così ho preso coraggio e ho scritto a Garmin. Ora che sono più consapevole, ora che riesco a parlarne liberamente, forse posso essere di esempio a chi ha vissuto un’esperienza simile. Le donne hanno bisogno di una motivazione per superare le loro paure”.

La vita è fatta così: ti regala momenti belli ma ti costringe anche ad affrontare periodi bui e difficili.

“Non si può scappare. Sono tutti momenti che vanno affrontati, con testa, corpo e cuore. E in questo lo sport è un vero maestro”.

Qual è stato il tuo Beat Yesterday?

Beat Yesterday non sarà mai l’impresa di cui tutti parlano, non è la vittoria che resterà per sempre nella storia dello sport. Beat Yesterday è la realizzazione di persone comuni che si mettono in gioco sacrificando tempo ed energie per riuscire in qualcosa che la maggior parte delle persone definiscono impossibile. Beat Yesterday non è essere più bravi o più forti di altri, ma avere la volontà di non fermarsi a ciò che si è, per scoprire chi si vuole essere veramente. Questo è Beat Yesterday, questo è essere speciali.

Anche tu hai già superato il tuo personale Beat Yesterday? Vogliamo darti voce, perché tu possa essere di ispirazione e motivazione per tutti gli altri. Raccontaci la tua storia.